Una riflessione che parta dall’alterità conduce necessariamente al corpo: così come accade nei lavori di Judith Butler, che muove dagli studi in ambito hegeliano per approdare ad interrogarsi sull’alterità. Da qui Butler prosegue la sua ricerca attraverso il tema del corpo, che mette in relazione con l’interdipendenza, la vulnerabilità, la resistenza: «se siamo disposti ad accettare che parte di ciò che definisce un corpo (e questa è, per il momento, un’asserzione ontologica) è la sua dipendenza da altri corpi e… dobbiamo anche accettare che la concezione individualistica del corpo, inteso come completamente distinto dagli altri, non è del tutto corretta»
. Il corpo è struttura primaria dell’esser-ci nel mondo, nell’esistenza che si dispiega nelle relazioni progettuali con gli altri. Le relazioni sono allora centrali per la comprensione della corporeità, del soggetto, della realtà. Il corpo si definisce a partire dalle relazioni ed è da queste definito e limitato, ma anche dalla condizione di inorganicità che domina la società tecnocratica. Se la relazione con la madre avviene attraverso i sensi corporei, se la nostra sopravvivenza come individui e come specie è possibile solo attraverso il corpo, come può il soggetto permanere a lungo in una condizione di spinta sociale e politica verso l’inorganico, verso la tecnica, la macchina, che rispecchiano il loro dominio attraverso la psicologia cognitivista, le neuroscienze, le scienze umane e “non-umane”, tutto il sapere volto a scientificizzare, ossia a rendere oggetto e non soggetto, la persona?