Tra i vari modelli di filosofia dell’educazione troviamo il razionalismo critico, la dialettica, l’ermeneutica, la decostruzione e la fenomenologia (Cambi 2000). I vari orientamenti concettuali hanno definito negli anni la direzionalità dell’agire pedagogico, il suo essere nella relazione e la costruzione di obiettivi specifici. La fenomenologia dischiude una prospettiva relazionale in cui la relazione smette di essere un atto oggettivizzante e diventa una sorta di universo-mondo in cui l’altro da me è nella propria alterità una presenza variabile, non definibile nè a priori nè in itinere, ma una possibilità di dialogo e di apertura. In questo senso l’educatore, il terapeuta può sperimentare il proprio sè nella differenza legittima e fondante la relazione: giocare mettendosi in gioco, creare la propria spazialità e il proprio tempo sempre in rapporto ai movimenti, le esigenze, gli intoppi, le mancanze sia nostre sia dell’altro da me.
L’antinomia tra soggettività e oggettività in ambito educativo è da tempo al centro del dibattito (Bertin, 1958): la prospettiva fenomenologica si inserisce appieno in questo dibattito apportando un contributo essenziale da cui hanno attinto molte recenti teorie pedagogiche. In particolare, la prospettiva di Marco Dallari (2005) considera proprio i poli della presente trattazione, l’educazione, l’arte e la relazione e pone l’accento sulla “ capacità dell’educatore-insegnante di frequentare l’universo simbolico delle narrazioni, di praticare in maniera accattivante ed efficace la lettura e di avere come abitudine personale la lettura narrativa”.
Estratto dall’articolo contenuto in FILART, novembre 2018: https://www.arteterapiafilosofica.com/wp-content/uploads/2018/11/FILART-novembre-2018.pdf