Così come la condivisione e la relazione con l’altro costituiscono l’umano, così la natura intesa come mondo, fenomeno, relazione con la realtà, è elemento imprescindibile affinché il bambino si costituisca come persona. David Thoreau descrive in celebri pagine la magnificenza della natura che si accorda con il suo senso d’identità e di appartenenza al mondo. L’uomo, secondo Thoreau, attraverso la solitudine e la vita trascorsa nel mondo naturale può comprendere i propri limiti e le proprie risorse.
Con questa consapevolezza si apre la strada verso un’ipotesi comunitaria, che vede gli uomini immersi nella natura: cibo, vestiti, casa, riscaldamento, ogni cosa viene offerta dal mondo naturale e l’uomo deve solo adeguare i propri bisogni a ciò che si può trovare agevolmente nella natura, dedicando la gran parte del tempo allo studio, alla conoscenza del proprio mondo interiore, e a relazioni gratuite, senz’altra finalità che non sia la condivisione di tempo e di pensieri: «Nella Natura, infatti, c’è un elemento che coinvolge spirito e materia allo stesso modo, una sorta di sintesi tra i due opposti… e se il cuore batte in ciascuno a un ritmo diverso, lo stomaco è più o meno lo stesso per tutti. Il tonico della Natura diventa così un alleato ulteriore per sconfiggere i rischi dell’individualismo». Proprio la condivisione con l’ “altro” è il tema centrale nella riflessione delle pedagogie attivistiche e liberartarie. Il bambino sperimenta il mondo, il proprio rapporto con la natura e con gli altri, ma fino a che punto necessita di una guida? In che misura l’adulto è un accompagnatore, un facilitatore, un maestro? Nella società contemporanea sembra manchevole il ruolo dell’adulto come genitore in ascolto e come guida responsabile e attenta. Secondo il famoso etologo Eibl-Eibelsfeldt, allievo di Konrad Lorenz, “nella società industriale vi è un crescente appiattimento e una disumanizzazione dei rapporti, che rendono difficile anche la socializzazione dei bambini. La lunga e dura giornata di lavoro, che lascia poco tempo all’ozio e allo sviluppo delle capacità ludiche e artistiche del singolo, è pesante anche perché l’eccessiva specializzazione rende il lavoro tedioso. A questo si aggiunga l’accentramento dell’uomo nelle città, per motivi economici, e la conseguente alienazione dalla natura”.
Il problema è quindi di vasta portata: gli orari di lavoro, la scarsa efficienza dei servizi, le disparità economiche di genere, portano la famiglia verso condizioni di minore benessere e quindi di maggiore disagio soprattutto per i bambini.
Il rapporto con la natura pone anche il problema del rapporto con “l’altro”. Ciò che fa parte del nostro ambiente, del nostro mondo, ciò che ci costituisce nella nostra esistenza come essere nel mondo è la relazione con l’Alterità. L’altro non è qualcosa che percepiamo senza conflitto interiore, senza paure, senza pregiudizi. Il processo di relazione con l’altro è difficile e va costruito nel tempo.
Il desiderio dell’altro è la scoperta di un’entità differente da sé, in cui il sé si riconosce come pura negatività; solo negando l’altro il sé afferma se stesso. Ma questa negazione non trova una soluzione definitiva, mette in movimento un processo dialettico, che porta a una conoscenza dei nostri limiti e delle nostre possibilità.
L’alterità quindi permane, non scompare: ci richiama costantemente a una messa in gioco di noi stessi. Per giocare è necessario educarsi a questa permanenza nell’alterità, a questo mettere l’altro al “nostro posto”; un gioco da fare fin da piccolissimi.