Sto preparando il volume “Foucaultiana”, in cui racconto della mia esperienza di insegnamento nella scuola superiore e nelle università. Ho preso via via consapevolezza di quanto sia fondamentale un approccio interdisciplinare alle discipline e di come un coinvolgimento in prima persona del docente sia la condizione essenziale perché si realizzi il processo di apprendimento. Il docente non interroga, non spiega: gli studenti non hanno bisogno di “spiegazioni” dal libro di testo, e le interrogazioni nelle scuole dei paesi anglosassoni, dove moltissimi fuggono per trovare un lavoro dignitoso, non esistono più dagli anni Settanta. Attraverso uno studio di decenni, ho messo a punto una didattica “viva”, in cui gli studenti sono coinvolti in un dibattito aperto: ognuno interviene secondo i suoi tempi di apprendimento, non si alza la mano perché non è il docente “a dare il permesso” ma i propri compagni con cui si dialoga sui temi che interessano. Con questo semplice metodo emerge il livello di studio e di preparazione del singolo, senza bisogno di verifiche o di interrogazioni: l’insegnante coordina il lavoro, lasciando spazio agli studenti per interagire tra loro, scambiarsi idee e opinioni, commentare un passo o un brano, esporre un proprio testo. La stessa didattica è applicata nei miei corsi di formazione per adulti. In “Sorvegliare e punire” Foucault critica analizzandola minutamente, la scuola e l’università. La pratica dell’esame universitario, ad esempio, è un mezzo sanzionatorio e inutile ai fini dell’apprendimento individuale. Così gli orari rigidi e i programmi stabiliti a priori inficiano il buon andamento del clima nel gruppo classe.