Nei mesi estivi ho cercato di realizzare la cartapesta e la struttura del corpo della sirena: è stato complesso perché dovevo usare un materiale con cui non avevo dimestichezza, il fil di ferro. Mi è stato utile nel modellaggio della cartapesta ciò che ho imparato al corso di modellato alla Scuola di ceramica di Albisola: la cartapesta è differente dall’argilla, ma meno di quanto pensassi. Al momento di modellare infatti, ho trovato funzionali attrezzi e tecniche che si usano con la creta. Il progetto è nato dal mio desiderio di confrontarmi con una figura femminile archetipa: la sirena.
Rappresentanta da grandissimi artisti, personaggio mitologico presente in poemi, drammi, romanzi, fiabe, la sirena mi ha sempre affascinato perché è ambivalente. Da una parte è una donna bellissima, nella cultura occidentale quasi sempre rappresentata con i capelli rossi o biondi, dall’altra è una creatura pericolosa, o quanto meno malinconica. Come rappresentarla, come dipingere la cartapesta e come modellare il corpo? In questo progetto ho dovuto fare i conti con il materiale a disposizione, la carta macerata. Il risultato è differente da quello che si potrebbe ottenere con l’argilla, il gesso o la resina. Per sua stessa consistenza la cartapesta ha un che di giocoso e di leggero, che altri materiali non hanno, quindi ho deciso di giocare su questo. Le mie sirene sono infatti un pò boteriane, un pò matrioske. Ho dapprima dipinto il corpo a mezzobusto e il volto con acrilico e guache, per capire meglio come poi avrei dipinto le sculture. Nel dipingere mi sono accorta che lo stile era influenzato proprio dall’obiettivo che avevo, ossia dipingere poi sulla cartapesta. Così le figure che ho dipinto sono anch’esse giocose, stilizzate: ho cercato di “togliere” per poi poter dipingere agilmente le piccole sculture. Ovviamente nella creazione artistica anche lo spazio a disposizione è importante: ho deciso di mantenere misure abbastanza piccole per motivi logistici, di spazio e anche di consumo di materiali, di trasporto e di fruibilità. Dipingere quindi il volto molto piccolo delle sculture ha comportato una scelta improntata al togliere e a stilizzare il più possibile il volto femminile.
Nei dipinti mi è piaciuto rappresentare le sirene con una bocca molto grande, che per me è un segno inequivocabile della bellezza e nel contempo dell’elemento grottesco, imbarazzante, presente nella bellezza. Ho scelto di rappresentarle con i capelli rossi o bianchi o grigi perché sono state un gioco di specchi con la mia immagine: com’ero, come sono, come sarò. Ma poiché sono personaggi mitologici non invecchiano: il loro volto è giovane, il loro atteggiamento è tranquillo, non hanno paura di invecchiare o della morte, perché non sono mortali, ma creature “altre”. Tutte le sirene sono dormienti, o sognanti, o comunque chiuse in se stesse, nel proprio mondo acquatico. Il fatto di isolarsi può essere considerato negativo nel nostro mondo, invece le sirene sono paradisiacamente sole, in un universo colorato, fluido, senza resistenze. E questo mi ha fatto riflettere sul motivo della maternità: la maternità, che trova corrispondenza simboliche con l’acqua, è un momento di estrema solitudine, in cui la donna ridefinisce se stessa, il proprio essere nel mondo, la propria quotidianità. L’evento della nascita la pone di fronte a una responsabilità enorme, immane: solo giocando, isolandosi nel proprio universo, è possibile far fronte a questa trasformazione. Tutto ciò che c’è all’esterno di frequente, se non è d’aiuto, è solo disturbo. Questa è una condizione che appartiene ad ognuno, ma la maternità la rende dirompente, eccedente, omnicomprensiva. Per la prima volta la comprensione della solitudine esistenziale diviene tangibile, comprensibile, e quindi può essere sopportata. La sirena è per me anche un simbolo della maternità; come madre e figlia di se stessa, la sirena gioca, sogna, canta, nel liquido amniotico marino.