Nel mio lavoro nelle artiterapie e nel counseling mi avvalgo della prospettiva intersezionale: che cos’è l’intersezionalità?
L’intersezionalità è una teoria critica che ha alla propria base epistemologica il riconoscimento della complessità dell’identità. In particolare, nessuna singola categoria di identità – genere, etnia, classe, orientamento sessuale, capacità – è una cornice analitica sufficiente di comprensione esistenziale, perché l’esperienza umana è troppo complessa per una facile categorizzazione. Dovremmo considerare questa idea di identità come qualcosa di frammentario e stratificato nel momento in cui desideriamo comprendere i fenomeni dell’emarginazione e dell’oppressione: ad esempio come avviene l’emarginazione di persone con disabilità? Come il potere agisce sulle donne o sui bambini? Queste domande non possono trovare risposta a prescindere da una riformulazione del concetto di identità. L’”io” è una molteplicità di traiettorie, un luogo di incontro e di conflitti, e questo luogo è segnato dalle relazioni con gli altri. Dove si situa il paradigma della cura dell’altro nella teoria intersezionale? Possiamo parlare di percezione corporea e inclusiva dell’altro, della cura come luogo di relazione. La cura quindi non è un “servizio” da consumare, ma una relazione da costruire, da creare nell’incontro di persone, che a loro volta si costituiscono attraverso le relazioni e le stratificazioni delle proprie esperienze precedenti.