Freud sostiene che “la qualità essenziale dello psicanalista è l’aver effettivamente provato sulla propria pelle i processi asseriti dalla psicanalisi”: l’auto-analisi si rivela perciò il più potente strumento formativo per il counselor e per chi lavora nella relazione d’aiuto. Vedere gli altri attraverso i propri pregiudizi può essere evitato solo con la pratica dell’auto-analisi: quando ciò non avviene il counselor può essere vittima del proprio senso di inferiorità che proietta sul cliente, assumendo un atteggiamento di superiorità.
Un esempio classico: un’analista che nel proprio percorso di crescita è stato particolarmente moralistico verso la sessualità, evitando comportamenti di libertà sessuale, auto-reprimendosi per dare di sè un’immagine “irreprensibile”, condannando chi aveva una pratica sessuale libera, può in tarda età, rivedere le proprie posizioni morali e scoprire una propria emancipazione sessuale. Difficilmente però potrà guardare a tematiche sessuali con il sufficiente equilibrio, perché da una parte proietterà sul cliente la frustrazione provata durante la giovinezza vissuta in una sorta di auto-castrazione, dall’altra proverà ulteriore frustrazione derivata dal processo metacognitivo sul proprio percorso di vita.